Il castello di Eggenberg e quello di Osaka
Il castello dell’Anselmo Ulrico
Avete presente le capsule del tempo? Se non le conoscete si tratta in pratica di questa simpatica usanza di mettere degli oggetti, anche di uso comune, in una cassa sigillata e poi di sotterrarla. Le capsule del tempo hanno una “data di scadenza” prestabilita in cui verranno poi dissotterrate e aperte, dando modo alle civiltà del futuro di vedere di persona uno scorcio del passato. Chiunque può allestire una capsula del tempo e esiste addirittura una società apposta che registra l’ubicazione e la data in cui dovranno essere aperte.
L’usanza di allestire queste capsule è relativamente recente perché risale agli anni trenta del novecento ma, nel corso della storia, si sono verificati casi di capsule del tempo involontarie, ovvero di oggetti sepolti e poi, per varie vicissitudini, dimenticati.
Il posto che visitiamo oggi però non è esattamente una cassa sigillata ma un intero palazzo barocco che, sebbene abbia avuto una storia ricca e importante, ad un certo punto è stato chiuso, sigillato e dimenticato per secoli, facendo sì che arrivasse a noi praticamente intatto.
Questa spettacolare capsula del tempo è il castello di Eggenberg, che si trova vicino alla cittadina austriaca di Graz.


All’inizio questo palazzo era nato per ovvie esigenze di prestigio perché il suo costruttore e ideatore, Anselmo Ulrico di Eggenberg, era un arrampicatore sociale che fece di tutto per entrare nelle grazie dell’Arciduca Ferdinando, il che era un colpaccio per un signorotto locale come lui.
Il Ferdinando, che poi nel 1619 divenne Imperatore col nome di Ferdinando II d’Asburgo, elevò l’Anselmo al rango di Ciambellano, che in pratica era come un moderno primo ministro poi, visto che l’amico gli rimase accanto per tutta la guerra dei trent’anni come fido consigliere, gli appioppò pure il titolo di principe del Sacro Romano Impero e di governatore dell’Austria Interna.
Deformazioni da astronomo
Con tutto questo prestigio era ovvio che l’Anselmo volesse una residenza adeguata, così si mise lì con pazienza e rispolverò tutte le nozioni che aveva imparato all’università, quando era compagno di studi di Keplero.
Facciamo presente questo fatto perché qualcosa della passione dell’antico compagno, che poi era diventato astronomo, doveva essergli rimasta attaccata, tanto che l’Anselmo decise che il suo palazzo sarebbe stato costruito come un’enorme simbolo dell’universo.
Affetto da questo attacco di sboronismo cronico, una malattia a tutt’oggi incurabile, l’Anselmo prese da parte l’architetto di corte, Giovanni Pietro de Pomis, e gli sciorinò le sue esigenze che poi il poveraccio avrebbe dovuto provvedere a realizzare a puntino.
E così, grazie a questo delirante progetto, se avete del tempo da perdere e siete affetti dalla mania di contare le cose come la Kry, potrete scoprire che il castello di Eggenberg ha 365 finestre, una per ogni giorno dell’anno; 52 di queste si trovano sul piano nobile, a rappresentare le settimane ma, se a queste sommate le 8 finestre della Sala Planetaria, il totale farà 60, come i minuti in un’ora.
Pensate che l’Anselmo si sia fermato qui? Ovviamente no, perché lo sboronismo cronico è una malattia degenerativa e quindi al secondo piano troveremo 24 stanze disposte ad anello, a simboleggiare le ore del giorno, anche se in totale ogni piano ha trentuno stanze, come il numero massimo di giorni in un mese.


Manca qualcosa? Ovvio che sì, perché se vi mettere sullo spigolo delle torri del palazzo, scoprirete che ognuna di essere ha l’angolo posizionato esattamente verso un punto cardinale.
A coronare questo tripudio di sboronismo-simbolico dell’universo c’è la Sala Planetaria, che ci dimostra chiaramente che questa malattia è ereditaria, perché anche i discendenti dell’Anselmo, a quanto pare, ne erano affetti. Troviamo così un’enorme salone affrescato con dipinti allegorici dei quattro elementi, dei dodici segni dello zodiaco e dei sette pianeti allora conosciuti e ancora non abbiamo finito! Intanto che c’erano gli Eggenberg pensarono di auto incensarsi a dovere, così guardando i pianeti ci accorgiamo che ognuno di loro è rappresentato come il corrispondente dio greco ma le sue sembianze, e i suoi attributi, simboleggiano i membri più influenti della famiglia al tempo in cui Hans Adam Weissenkircher eseguì gli affreschi. Troviamo così il patriarca di famiglia, Johann Seyfried von Eggenberg, nei panni di Giove, sua moglie Eleonora Rosalia in quelli di Venere e il figlio ed erede Johann Anton II ad interpretare Apollo che guida il carro del sole verso il luminoso futuro della famiglia.
Alla fine tutta questa sboronaggine deve avergli portato rogna alla famiglia Eggenberg perché, quando l’affresco fu finito, il luminoso Anton-Apollo, perfetto erede della famiglia, era prematuramente morto e il radioso futuro illustrato in questa sala non arrivò mai.
L’ultima principessa Eggenberg sposò poi un Herberstein e questo palazzo finì in mano a quella famiglia che, a metà del diciottesimo secolo, lo ammodernò secondo il gusto rococò, mantenendo però inalterate tutte le decorazioni barocche. L’intervento più massiccio lo subì il teatro del castello, che fu demolito per fare spazio a una cappella.
Nonostante questi piccoli cambiamenti, il castello Eggenberg fu usato, da quel momento in poi, soprattutto come residenza estiva e, di conseguenza, nessuno sentì più il bisogno aggiungervi altro, se non per quanto riguarda le zone esterne che, all’inizio dell’ottocento, furono trasformate in un giardino paesaggistico all’inglese, accogliendo un tripudio di specie arboree diverse.


Come si conserva un castello
Fu questo generale abbandono del palazzo, che rimase perlopiù chiuso durante gli inverni e che non fu mai né dotato di riscaldamento né elettrificato, che lo preservò in maniera perfetta, tanto da poterlo ritenere a tutti gli effetti una capsula del tempo. Grazie proprio a questa particolarità il castello fu poi inserito nel patrimonio dell’umanità protetto dall’UNESCO.
A tutt’oggi, per continuare a preservare al meglio il castello, è possibile visitarlo solo durante i mesi estivi perché ai primi freddi tutto viene chiuso e serrato, lasciando che la temperatura nei saloni cali naturalmente in risposta a quella esterna, mantenendo al meglio tutti gli affreschi e gli stucchi che, non subendo sbalzi termici, dovrebbero rimanere intatti e perfetti anche per le generazioni future.
Il castello di Osaka, in Austria
Se pensate che il fascino di questo posto si sia esaurito qui, vi state sbagliando di grosso perché c’è un’altra storia di mistero e di riscoperta che si può collegare al castello Eggenberg.
Intorno alla metà del diciassettesimo secolo Johann Seyfried von Eggenberg acquistò alcune “cineserie” che rimasero in famiglia per circa un secolo prima che i restauri rococò avessero inizio.
Fu allora che vennero create alcune stanze dette ‘indiane’, per contenere i tesori di famiglia provenienti dall’Asia orientale. Nessuno sa bene quale fosse stato l’iter di tali tesori ma uno di questi, un paravento, fu smontato e usato come carta da parati per rivestire una di queste sale.
E che cosa c’è di strano, ci chiederete voi… ecco, dovete sapere che questo particolare paravento mostra, nei dettagli dei suoi otto pannelli, la città di Osaka ai tempi di Toyotomi Hideyoshi.
A noi occidentali il nome dice poco o niente ma, per farla breve, fu l’uomo che unificò il Giappone dando il via a un incredibile periodo di prosperità e i simboli del suo dominio furono la città di Osaka e il suo castello.
Purtroppo non molto tempo dopo la morte di Toyotomi, la città di Osaka fu prima presa d’assedio e poi devastata dall’esercito dei Tokugawa, nemici della famiglia Toyotomi. Opere d’arte, scritti e anche costruzioni del periodo precedente furono intenzionalmente distrutte per cercare di obliare l’epoca d’oro che era stata il dominio di Toyotomi Hideyoshi e, per questo motivo, sono arrivate a noi pochissime informazioni su come si presentasse davvero la città prima della sua distruzione.


Questi fatti da soli basterebbero a rendere interessante questa stanza e la sua “carta da parati” ma c’è un altro particolare degno di nota: dovete sapere che nel 1549 alcuni gesuiti sbarcarono in Giappone, con la chiara intenzione di convertire la popolazione locale al cristianesimo.
I missionari gesuiti attuavano, ovunque arrivassero, un metodo che avevano ampiamente collaudato nel tempo: convertire una grande fetta di popolazione per poi prendere il potere. Tentarono lo stesso approccio in Giappone, sottovalutando alla grande la cultura locale che era millenaria e molto radicata e, da subito, si scontrarono con i monaci buddisti, a cui questa nuova religione puzzava di fregatura.
Al tempo i monaci buddisti avevano un grande ascendente e ci misero poco a convincere diversi daimyō (qualcosa di simile ai nostri signori feudatari), tra cui Toyotomi, che era il caso di disfarsi di questi stranieri e delle loro pericolose idee, così nel 1597, per dare a tutti un fermo segnale di cosa sarebbe accaduto a quanti volessero abbracciare la fede straniera, ventisei cristiani furono arrestati e poi crocifissi.
Ora, voi avete presente i Gesuiti? Sono la compagnia di Gesù, quelli dell’Ignazio di Loyola… quella era gente che mica si lasciava scoraggiare da ventisei morti! Li dichiararono martiri e ripartirono a convertire a tutta birra, senza guardare in faccia nessuno, come avevano sempre fatto, fiduciosi che il loro metodo collaudato potesse ancora funzionare.
Allerta spoiler: non funzionò.
Nel 1639 una fetta di popolazione convertita al cristianesimo diede inizio a una rivolta e a questo punto, per usare un francesismo, lo shogunato (il governo militare) si ruppe il cazzo e serrò definitivamente i confini. Gli occidentali avevano fatto una così bella figura che le cose rimasero così fino al Periodo Meiji, alla fine dell’ottocento, quando iniziò una lenta riapertura.
Capite bene che con queste restrizioni, e tenendo conto del limitato lasso di tempo in cui le merci di quel periodo avevano potuto uscire liberamente dal Giappone, l’arrivo di questo paravento da Osaka all’Europa è di per sé inconsueto e l’ultimo fatto, a chiudere questa sequela di stranezze, è che dal suo arrivo, fino al 2001 quando la stanza indiana fu ristrutturata, nessuno si accorse di questa strana “carta da parati”.

La notizia della scoperta di questo paravento, che mostrava una visione unica e sconosciuta del castello di Osaka durante il dominio di Toyotomi, a quel punto arrivò anche in Giappone che, nel 2007, avviò un progetto congiunto tra l’università di Osaka, quella di Colonia e il Joanneum museum che cura il castello di Eggenberg, per studiare approfonditamente questo unicum che noi visitatori, se non conoscessimo ora la sua storia, potremmo tranquillamente ignorare come è stato fatto per secoli, ritenendola solo una carta da parati particolarmente carina.

Informazioni pratiche:
L’angolo dello shopping:
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Adoro l’Austria, è una nazione molto affascinante; a Graz però non sono ancora riuscita ad andare, anche se mi piacerebbe moltissimo. Il tuo articolo mi ha molto incuriosita, la voglia di vedere questa città è aumentata a dismisura!
Graz è una cittadina particolarmente gradevole da visitare e il castello di Eggenberg per noi è stato davvero una piacevole sorpresa!