Borgo di Radicofani in Toscana. Foto sul blog di viaggi: Nerd in Spalla

Il bandito Ghino di Tacco

Rubare ai ricchi ma non ai poveri

Al mondo, di sicuro, ci sono solo la morte e le tasse. Questo fatto è incontrovertibile ormai da molti secoli.

Anche all’inizio del milletrecento le tasse erano una preoccupazione, tanto più per chi viveva in quella che è, oggi, la parte più meridionale della Toscana, che al tempo ricadeva sotto la dominazione del Papa.

Pare che le tasse, in quella zona, fossero così alte che anche le famiglie benestanti, come quella dei Cacciaconti, non riuscissero a pagarle se non a costo di enormi sacrifici.

Oltre al danno la beffa: tutti i soldi pagati andavano a ingrassare i forzieri di Roma e nulla era speso per migliorare la situazione di quella regione… uhm… giuro che ogni riferimento a fatti attuali è puramente casuale!

Alla fine i Cacciaconti, stufi di pagare tasse ed essendo pure un po’ ghibellini nell’animo, decisero di abbandonare ogni parvenza di legalità e si diedero al secondo mestiere più antico del mondo… il brigantaggio!

Mica lo fecero da soli! Si presero su tutta la famiglia: padre, due figli e lo zio!

Statua di Ghino di Tacco a Radicofani

Per un po’ gli andò bene ma poi, come spesso accade, li beccarono e, poiché al tempo non si andava tanto per il sottile, dopo un bel processo in quel di Siena, il giudice Benincasa da Laterina, detto l’Aretino, li condannò a morte. La sentenza fu eseguita in piazza del Campo, probabilmente sotto gli occhi del figlio più giovane che, essendo ancora minorenne, fu graziato.

Come nelle migliori storie di cappa e spada a questo punto c’è un salto temporale in attesa che il giovane pargolo, con la vendetta nel cuore, diventi uomo.

Ghino di Tacco crebbe e abbracciò pienamente la professione paterna ma, benché brigante, si dice che fosse un uomo colto, affascinante e con indubbie doti militari. A un certo punto della sua ‘carriera’ il Ghino decise che aveva bisogno di una seria base operativa e ciò, a quel tempo, significava possedere un bel castello fortificato.

Torre della rocca di Radicofani

Cercò ingenuamente di seguire la via legale e di costruirsene uno ma i suoi nemici se ne accorsero e glielo impedirono, così tornò al suo solito modus operandi e ne rubò uno già bello che pronto.

Il castello prescelto fu quello di Radicofani che era sulla via Francigena, passaggio obbligatorio per tutti i ricchi pellegrini che portavano i loro soldi a Roma.

In pratica era un po’ come se invece di andare in giro a ladrare con fatica, il Ghino avesse montato un casello autostradale e chiedesse il pedaggio. Comodissimo!

Bisogna dire che alla gente del posto il Ghino gli stava simpatico perché nessuno vedeva di buon occhio il papato, con le tasse che imponevano, in più lui non rubava proprio a tutti ma solo ai ricchi, un po’ come Robin Hood ma scordandosi la parte del dare ai poveri!

Veduta dalla rocca di Radicofani

Be’ no, non è del tutto vero. Si dice che non derubasse né i pellegrini squattrinati né gli studenti ugualmente senza un soldo, invece li ospitava e offriva loro ospitalità lungo il cammino… quando a dargli i soldi che aveva faticosamente rubato… be’, sarebbe stato un po’ troppo, no?

Mi nombre es Inigo Montoya

A questo punto della sua vita, ben installato e con entrate continue, al Ghino venne la gran voglia di cambiare personaggio e da Robin Hood passò direttamente a Inigo Montoya, quello de ‘La storia fantastica’. Prese su armi e briganti e si diresse di buon passo a Roma, al tribunale senatorio, dove lavorava l’Aretino che gli aveva condannato padre e zio, probabilmente all’urlo di ‘Mi nombre es Ghino di Tacco. Tu hai ucciso mi padre. Preparate a morir!’.

Come? Vi chiedete se è riuscito a entrare nel tribunale e a ucciderlo? Ma certo che l’ha fatto! Ha destato tanto scalpore che pure Dante, ne ‘La Divina Commedia’ commemora il fatto con la strofa:

Quiv’era l’Aretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte

Solo che il Ghino se la era proprio legata al dito con questo tizio e non si accontentò di ucciderlo ma lo decapitò e infilò pure la sua testa su una picca, per riportarsela a Radicofani e metterla in mostra davanti al suo castello rubato!

A questo punto il Ghino mi diventa bello noto e, stando ai racconti, in particolare alla seconda novella del decimo giorno del Decamerone (di cui parliamo anche nell’articolo su Roccabianca) di Boccaccio, il Ghino continuò allegramente la sua carriera di brigante.

Il Ghino nel Decameron

La novella in questione ci racconta che un giorno passò sulla strada, vicino alla rocca di Radicofani, l’abate di Cluny. A Roma l’abate ci aveva dato dentro con vino e banchetti e poi (ma pensa un po’ che stramberia!), era stato colpito da un brutto mal di stomaco che lo aveva costretto a mettersi in viaggio verso le terme toscane, che si diceva facessero meraviglie per quei disturbi.

Il Ghino, vedendoselo passare proprio davanti al portone di casa, prima lo rapinò e poi gli chiese dove fosse diretto. Questi rispose che andava a curarsi alle terme e così, invece di lasciarlo libero di procedere semplicemente alleggerito dei suoi beni, il Ghino lo rapì e lo chiuse nel suo castello, mettendolo a dieta stretta finché non fu guarito, dopodiché gli mise davanti tutti i suoi beni rubati e gli disse che gli sarebbe stato bene esser pagato quanto l’abate avrebbe speso per guarirsi in altro modo presso le terme.

Veduta dalla rocca di Radicofani

L’abate di Cluny rimase così colpito che non solo pagò il giusto a Ghino ma, una volta tornato a Roma, fece da intermediario presso il papa, che dopo la faccenda dell’Aretino vedeva Ghino come fumo negli occhi, e gli fece non solo ottenere la grazia ma anche una prioria (una specie di ricca pensione).

Dai Medici a Garibaldi

Tutto è bene quel che finisce bene ma anche dopo il tempo di Ghino, Radicofani rimase un importante punto di transito verso Roma, così quando la zona finì sotto il dominio dei Medici, questi fecero erigere sulla strada una grande stazione di posta che potesse dare ospitalità ai viandanti e ai pellegrini.

Al tempo di Cosimo II si dice che potessero essere ospitare fino a ottocento persone, anche se forse era una stima un pochetto gonfiata!

Nel corso del tempo la posta Medicea, che rimase aperta fino alla fine dell’ottocento, ospitò moltissimi visitatori famosi in viaggio verso Roma, come Mozart, Dickens, Thomas Gray, Casanova, fino al Marchese De Sade e addirittura papa Pio VII in viaggio verso la Francia per l’incoronazione di Napoleone.

Fontana con lo stemma dei Medici e rocca sullo sfondo
Posta Medicea o Osteria Grossa

Tra gli altri grandi eventi che si sono tenuti nel tempo nella posta Medicea, ci furono anche due grandi balli che si tennero per raccogliere fondi per finanziare l’acquisto di un milione di fucili per Garibaldi.

Una piramide in Toscana

Purtroppo verso la fine dell’ottocento la posta Medicea chiuse i battenti e Radicofani cominciò a perdere, con l’avvento di nuovi modi di viaggiare, come il treno, la sua posizione di tappa fondamentale nel percorso verso Roma.

Piramide all’interno del Bosco Isabella

Fu a quel punto, agli inizi del novecento, che la famiglia Luchini, forse per rinverdire i passati fasti di Radicofani ma anche per un genuino desiderio di ospitalità, aprì una pensione elegante nel loro palazzo in paese e la chiamò Vertumno come il dio, prima etrusco e poi romano, che sovrintendeva al mutamento delle stagioni e alla maturazione dei frutti. Il nome fu scelto anche perché Luchini era un grande appassionato di botanica, passione che lo spinse a costruire, appena fuori dalle mura di Radicofani, il bosco Isabella, così nominato in onore dell’amata moglie.

Questo ‘bosco’, ancora attualmente esistente e visitabile, contiene al suo interno simboli massonici e criptici riferimenti a un cammino d’illuminazione interiore tra cui, il più semplice da vedere e comprendere, è una piccola piramide che sorge al centro del boschetto.

Della famiglia Luchini faceva poi parte anche Matilde, una pittrice appartenente alla corrente dei macchiaioli, e nella pensione di famiglia cominciarono a soggiornare spesso alcuni dei suoi importanti amici, come D’Annunzio, Malaparte, Matilde Serao, Ottone Rosai, Giorgio De Chirico, Ardegno Soffici e il principe Sisto di Borbone.

Tutti questi artisti e intellettuali del panorama italiano e internazionale dell’inizio del novecento erano probabilmente attratti qui dalla buona compagnia, dall’ospitalità e dai meravigliosi panorami ma, a mio parere, anche il bosco Isabella, con il suo fascino misterioso, aveva avuto una mano nell’irretirli, spingendoli magari a tornare e rinnovando la fama di Radicofani come tappa fondamentale di ogni giro in Toscana.

Personalmente pensiamo che Radicofani meriti una visita molto più di quanto facciano diversi e più noti paesi vicini perché questo non è solo un borgo turistico ma un paese vero, in cui traspare l’amore dei suoi abitanti per il luogo in cui vivono.

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