L’hobby di Vicino Orsini
Vicino o Pier Francesco
In giro per la rete si vedono moltissime foto del Sacro Bosco (o Parco dei Mostri) di Bomarzo, un posto dall’aria magica e vagamente sognante, surreale, a suo modo misteriosa.
Molte persone pensano che sia una specie di museo all’aperto, dove vari artisti hanno messo in mostra statue e installazioni varie, invece questo boschetto è qualcosa di completamente diverso.
Innanzitutto è stato ideato e voluto da un solo uomo e non esattamente in tempi recenti ma in pieno rinascimento.
Quest’uomo era Pier Francesco II Orsini, che però tutti chiamavano Vicino per qualche strana ragione (ma probabilmente lo facevano perché per pronunciare Pier Francesco, ci vuole mezz’ora!).
Vicino rimase orfano da piccolo e, sebbene lui e suo fratello avrebbero dovuto essere eredi del padre, molti lontani parente si presentarono a batter cassa, così la questione dell’eredità finì in tribunale e lì si arenò per molti anni.
Fu solo quando Vicino aveva già vent’anni, nel 1542, che l’intervento del cardinale Alessandro Farnese mise fine alla diatriba assegnando a Vicino la Signoria di Bomarzo.
Attenzione: questo Alessandro Farnese non era papa Paolo III (di cui abbiamo già parlato nell’articolo su Torrechiara) ma suo nipote e questo fatto farà sì che, da lì in poi, le fortune e le sfighe di Vicino si leghino a quelle della famiglia Farnese, infatti, pochi anni dopo, gli viene data in moglie la pronipote del papa, Giulia Farnese.


Per una volta un matrimonio combinato risultò essere ben assortito: Vicino era del tutto devoto alla moglie e perdutamente infatuato di lei. Da parte sua Giulia era una con una pazienza infinita e fu un bene perché gli servì tutta… fra poco vedremo il perché.
Vicino, comunque, era un ragazzo colto che aveva studiato e frequentato letterati e artisti e, forse per questo, forse perché era un parente del papa, fu invitato a Roma per arbitrare un bisticcio tra Michelangelo e il Sangallo…
Dovete sapere che Michelangelo aveva un carattere di merda, quindi non deve sorprendere che fosse ai ferri corti con qualcuno, perché in pratica visse tutta la sua vita scolpendo, dipingendo e litigando.
In questo particolare caso la pietra della discordia erano le fortificazioni del Vaticano progettate dal Sangallo e che, a parere di Michelangelo, facevano cagare.
Non si sa bene cosa decise Vicino su questa questione ma le fortificazioni del Sangallo, che comprendevano anche Porta Santo Spirito, restarono incompiute e comunque il Vicino dovette aver fatto bella figura perché, da lì in poi, essendosi imposto come esperto in litigi, cominciò la sua sfigatissima carriera militare.
professione: ostaggio!
Dico sfigatissima perché solo un anno dopo fu fatto prigioniero dalle truppe dei principi protestanti in guerra contro il papato. Lo liberarono solo un anno dopo.

Durante questo periodo sua moglie, paziente come una santa, lo attese sperando che glielo rimandassero tutto d’un pezzo e fece pure mettere una targa ex-voto sul pozzo davanti alla chiesa di Santa Maria Assunta a Bomarzo.
Lui tornò ma, sei anni dopo, mentre combatteva dalla parte dei Francesi contro l’Impero… lo fecero prigioniero di nuovo.
Sua moglie di nuovo lo attese con pazienza infinita, pregando e sperando. Forse le sue preghiere furono un po’ meno accorate questa volta, perché ci misero quasi tre anni a rimandarglielo a casa.
Secondo noi lei lo accolse tutta intenerita, zuccherosa e melensa, e mentre se lo baciava e lo abbracciava con un braccio, con l’altro teneva probabilmente in mano una scarpina leziosa ma dal tacco fatto di rovere, con il quale lo batté fortissimo sulla testa all’urlo di:
“Se capita una volta, è un caso, se capita due volte, è una coincidenza, se capita tre volte sei tu!”
Secondo voi a questo punto il Vicino lo aveva capito che la vita militare non faceva per lui? Dite di sì? E invece…
Nooooooo! Certo che no!
E così, solo un anno dopo, Vicino ripartì di nuovo.
Secondo noi alla Giulia due bestemmie sottovoce le scapparono pure, mentre lo minacciava con la scarpina col tacco…

Il problema a questo punto era che il Papa era cambiato e al soglio pontificio c’era Paolo IV, quel bel tomo che aveva innalzato l’inquisizione a organo di governo della chiesa, per spiegarvi quanto fosse incarognito verso il mondo.
Bene, sotto questo Papa il Vicino partì perché erano in guerra con il regno di Napoli e, arrivati nei pressi di Artena, a sud di Roma, il reparto di fanteria da lui comandato fu aggredito dagli abitanti perché il loro signore, un Colonna, aveva fatto un voltafaccia dell’ultimo minuto, da vero infame.
Il papa, una volta saputo dell’accaduto, non la prese benissimo e ordinò al suo comandante di cavalleria, Giulio Orsini, di espugnare il borgo di Artena e di passare a fil di spada tutti gli abitanti. TUTTI!
Vicino non prese parte all’assedio ma a cose fatte, quando entrò in quello che restava del borgo, ritrovandosi davanti tutti gli abitanti morti, decise che era ora di mollare questa stronzata del militare per la quale, chiaramente, non era portato.

Si ritirò a Bomarzo, ben deciso a rimanere lì con la sua numerosa famiglia poiché la Giulia, tra un rapimento e l’altro, era riuscita a sfornargli sette figli.
L’elaborazione del lutto
Ovviamente, perseguitato com’era dalla sfiga, quando finalmente si ritirò a vita privata, la Giulia morì lasciandolo tutto solo soletto.
Lui il lutto non lo prese bene, tanto che scrisse agli amici spiegando che, dalla morte di lei, aveva perso ogni interesse per le donne e ma gli era sovvenuta l’idea di dedicare alla sua amata il piccolo bosco ai piedi del paese di Bomarzo.
Qualcosa in questo bosco era già stato messo, perché pare che la casa pendente, una casetta costruita intenzionalmente storta, fosse stata eretta come ex voto al ritorno da una delle prigionie, ma fu con la morte della Giulia che Vicino fece erigere prima un tempietto in suo onore e poi… tutto il resto.
Emblematica, anche se non sappiamo di preciso quando fu incisa, è la scritta su uno degli obelischi, che recita:
Sol per sfogar il core

Questo ‘solo per sfogare il cuore’ è spesso interpretato come il bisogno di Vicino di trovare una valvola di sfogo alla sua tristezza, rifugiandosi in quello che aveva trasformato in un luogo magico in cui perdersi magari per alcune ore ogni giorno e, per molti anni, non fece altro che aggiungere ‘mostri’ sempre più strani e fantasiosi al suo boschetto, probabilmente per cercare un interesse, un’ancora, che lo salvasse dalla depressione.
Sacro Bosco o Parco dei Mostri?
Purtroppo per lui, alla sua morte i suoi eredi non si filarono di striscio questa stramberia e così, per molti secoli, il bosco fu abbandonato a se stesso.
Forse questo posto sarebbe potuto scomparire tra i meandri della storia se non fosse che, alla fine dell’ottocento, la famiglia Bettini comprò questi terreni.
Per molti anni però non successe nulla, perché probabilmente fu un acquisto così, fatto per curiosità o altri motivi, ma poi sul finire degli anni cinquanta del novecento Giovanni Bettini e sua moglie Tina Severi, decisero di ristrutturarlo.

Queste persone, a loro spese, fecero l’impensabile. Studiarono il posto e fecero disseppellire i grandi mostri sepolti da terra e selva, per riportarli a quello che dovrebbe essere, oggi, una disposizione il più possibile simile all’originale.
Anche con questa ristrutturazione, che ci permette di visitare il ‘Sacro Bosco’ e di goderne la bellezza, a causa dei secoli di abbandono la spiegazione dell’esistenza di questo strano parco è giunta a noi nebulosa o del tutto incomprensibile.
In rete si trovano le tesi più spinte e fantasiose, accompagnate da un’infinita proposta d’itinerari atti a visitare al meglio ogni ‘mostro’ presente nel parco, ma a noi piace la spiegazione di Cecilia Maria Paolucci che ci offre interessanti spunti che, contrariamente a molti altri, sono quantomeno frutto di studio e appaiono credibili.
Tra i punti che maggiormente ci hanno colpito nel bosco, va ricordato l’indovinello della sfinge all’ingresso:
Tu ch’entri qua pon mente
Parte a parte
E dimmi poi se tante
Meraviglie sian fatte per inganno
O pur per arte.

La domanda è semplice: la sfinge chiede al visitatore se questo parco sia stato costruito per ingannare i sensi o per semplice vezzo artistico.
La risposta è ancora più semplice perché arte può significare anche ‘inganno’ o ‘incantesimo’, quindi la risposta corretta dovrebbe essere che non c’è differenza tra l’una e l’altra opzione.
Se però non c’è differenza, allora è davvero futile cercare di giustificare questo posto con teorie più o meno alchemiche, metafisiche, sofistiche perché l’unica cosa che un visitatore assennato dovrebbe fare, è passeggiare e stupirsi davanti a questi mostri, al massimo riflettendo su una delle altre frasi che Vicino ci ha lasciato:
Voi che pel mondo gite errando vaghi
Di veder maraviglie alte et stupende
Venite qua dove son faccie horrende,
elefanti, leoni, orsi, ochi et draghi

E alla fine questo verso ci fa riflettere davvero perché, dopo aver viaggiato e visto luoghi incantevoli e meravigliosi, che cosa spinge un viaggiatore a visitare un bosco abitato da ‘mostri orrendi’?
Ognuno è libero di rispondersi da solo mentre vaga in questo tranquillo e silenzioso boschetto.
Per approfondire:
Informazioni pratiche:
L’angolo dello shopping
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Uno dei posti più particolari del Lazio senza dubbio! Il Giardino dei mostri mi ha sempre dato emozioni contrastanti, un misto tra divertimento e inquietudine, ma fa sempre piacere tornarci! Ottimo articolo davvero!
Penso che sia un posto piacevolissimo per una passeggiata primaverile e ti giuro che se lo avessi più vicino a casa mi ci troveresti tutte le settimane!😁