Da Lord Byron alle storie del castello di Chillon
Il desiderio di viaggiare
Questa cosa di leggere una storia ambientata in un posto e sentire poi il desiderio di vedere di persona quel luogo, non è certo una mania moderna ma qualcosa che ha spinto, nel corso dei secoli, moltissime persone a mettersi in viaggio.
Per esempio, avete presente Jean-Jacques Rousseau, quello che tutti pensano fosse un filosofo francese mentre invece era svizzero? Be’, questo filoso scrisse, a metà del diciottesimo secolo, la storia di “Giulia o la nuova Eloisa”, ambientandola sulle sponde del lago Lemano in Svizzera, una zona che conosceva bene poiché non lontana da dove era nato.
Niente di strano in tutto questo, direte voi, ma dovete sapere che questa storia fu letta da moltissime persone e in tanti, mitizzandola, sentirono il desiderio di vedere i posti di cui si parlava nel libro.
Tra questa persone che si misero in viaggio, anche se forse in questo caso sarebbe meglio parlare di fuga, ci fu Lord George Gordon Byron.


In patria Lord Byron era ormai considerato un reietto perché le accuse che la società gli imputava erano davvero troppe per i benpensanti del tempo. Era infatti colpevole di incesto, amore libero, adulterio e sodomia… e forse me ne sto scordando qualcuna ma il sunto è che, anche quando andava alla camera dei Lord, nessuno osava più nemmeno rivolgergli la parola, lasciandolo così socialmente isolato. Fu probabilmente questo che lo spinse a partire per il suo esilio volontario.
Il suo viaggio lo vide arrivare in Svizzera, sulle sponde di quello stesso lago di cui aveva scritto Rousseau e, poco tempo dopo, giunsero nello stesso luogo altri tre viaggiatori che come lui erano in fuga dal Regno Unito.
Il poeta Percy Bysshe Shelley si era infatti lasciato alle spalle la moglie ed era fuggito insieme alla sua amata Mary Wollstonecraft Godwin e la di lei sorellastra Claire Clairmont.
Claire conosceva già Lord Byron e ne era stata amante e, forse per questo, i tre viaggiatori lo raggiunsero sul lago Lemano, anche se non escluderei che fossero anche loro sulle tracce di Rousseau, in quanto a loro volta suoi appassionati lettori.
Qui il loro gruppo si tenne impegnato con numerose escursioni nei dintorni e così un giorno finirono col visitare il castello di Chillon.

Fu in questo castello che Lord Byron conobbe la storia dell’uomo che ispirò la sua opera ‘il prigioniero di Chillon’.
Dovete sapere, infatti, che il castello, costruito su un isolotto roccioso a pochi metri dalla riva, aveva già allora una lunga storia. Le inconsuete fondamenta su cui poggia la costruzione sono costituite da volte gotiche degne di una cattedrale che, nel tempo, furono adibite a segrete.
Il prigioniero libertino
Fu proprio uno degli “ospiti” di queste segrete a ispirare il “prigioniero” di Lord Byron. Quest’uomo, François Bonivard, (che per comodità noi chiameremo Checco) era stato imprigionato perché nonostante la sua famiglia fosse vassalla dei Savoia, dopo che questi avevano espropriato ai Bonivard buona parte dei loro beni si era venuto a creare un certo malcontento che li aveva spinti ad abbracciare la causa degli abitanti di Ginevra che si opponevano al controllo sabaudo.
Il Checco però fu tradito dai suoi presunti amici, tra cui il vi era anche abate di Montheron, che lo consegnarono al Duca di Savoia il quale, senza indugio, pensò bene di sbatterlo in galera per un paio d’anni, giusto per schiarirgli le idee. Nel frattempo, manco a dirlo, quell’amicone dell’abate di Montheron ottenne il monastero di St. Victor che prima di allora era appartenuto di diritto al Checco.
Comunque al Checco le idee in gaglioffa gli si erano schiarite eccome e, una volta uscito, raddoppiò i suoi sforzi per opporsi ai Savoia. Per un po’ gli andò bene ma poi lo presero di nuovo e questa volta il Duca, un po’ scocciato, lo fece buttare nei sotterranei del castello di Chillon e poi, come si suol dire, buttò via la chiave.
Quei sotterranei, per quanto architettonicamente bellissimi, dopo un po’ al Checco vennero a noia e lui stesso scrisse “avevo dei passatempi così interessanti che ho solcato il cammino nella pietra, come se fosse scolpito con un martello”, intendendo che aveva fatto avanti e indietro, attaccato alla sua catena, finché non ebbe lasciato un solco nella roccia che i visitatori, ancora oggi, cercano incessantemente di intravedere quando visitano i sotterranei.
Già questo dover vivere in quello spazio ristretto accese la fantasia di Byron, che immediatamente lo immaginò come un eroe romantico, ma in più va aggiunto il fatto che mentre il Checco se ne stava lì a languire, tutta la sua numerosa famiglia morì nei modi più atroci: chi bruciato sul rogo, chi in battaglia e altri ancora nella sua stessa prigione.


Il Checco però sopravvisse a tutto questo per sei anni, finché le truppe di Berna non presero il castello e lo liberarono e da qui il personaggio di Byron e il vero Checco prendono due strade separate perché se da una parte l’eroe romantico diviene simbolo di libertà, dall’altra il Checco, che aveva dovuto prendere i voti per ottenere il monastero di St. Vincent che ora non possiede più, si lascia la vita ecclesiastica alle spalle e si da alla bella vita a Ginevra, perché a quel punto, a quarantasei anni con otto trascorsi in prigione, un po’ di divertimento sente di meritarselo.
Si dice fosse un tale libertino che in città, dove la popolazione era in maggioranza calvinista e puritana, la sua presenza desse spesso grande scandalo. Per arginare un po’ il malcontento il Checco provò pure a sposarsi ma non ebbe grande fortuna perché la prima moglie gli morì nel giro di un anno.
La seconda moglie era una vedova con la quale a malapena convisse ma il loro matrimonio durò di più, circa otto anni, poi ci fu un’altra vedova che restò la moglie in carica per dodici anni, durante i quali le feste e i baccanali del Checco continuarono senza problemi e poi… ecco, a quel punto il nostro eroe aveva quasi settant’anni e poca voglia di mettere la testa a posto, così si dice che avesse scelto come quarta moglie la Caterina perché lei, come lui, aveva lasciato i voti per darsi alla bella vita.
Alla Caterina andò male perché, saranno state le male lingue o il fatto che non nascondesse molto bene le sue relazioni, ma la arrestarono per adulterio e immoralità e la annegarono nel Rodano mentre il suo amante fu decapitato. A suo onore va detto che il Checco tentò di intercedere per lei, proclamando la sua innocenza, ma mi sa che i vicini di casa, che per trent’anni non erano riusciti a chiudere occhio a causa delle feste in casa Bonivard, abbiano fatto valere le loro opinioni di onesti cittadini, scalzando le proteste del Checco.
Abbb…Bona (di Borbone)
A parte il “Prigioniero di Chillon” pero, furono molti altri i personaggi storici che nel tempo furono legati a questo castello sulle acque, come per esempio Bona di Borbone… sì gente, si chiamava Bona di nome, fatevene una ragione!
Questa Bona sposò Amedeo VI di Savoia, uno che a casa sua mica ci stava tanto bene così nel 1366, partì per andare chissà dove… in crociata diceva lui ma poi, questi uomini, quando sono fuori casa chi lo sa cosa fanno davvero? Comunque, mentre l’Amedeo era lontano, la reggenza della contea fu affidata a Bona, che aveva una vera passione per i laghi alpini, tanto che volle risiedere solo a vista lago. Chiamatela scema!



Sarà che era giovane, sarà che era donna, ma la sua voce non era molto ascoltata, tanto che tutti preferivano andare a interpellare l’Amedeo chissà dove, piuttosto che ascoltarla. La musica cambiò quando il Conte morì, lasciando erede di tutto Amedeo Jr ma sotto la tutela della Bona.
Eh, ma sua figlio era un bambino, direte voi. Ebbene… NO! L’Amedeo Jr. aveva ventitreenni ma, proprio come il padre, aveva questa mania di andare in giro a far la guerra, lasciando la Bona a governare. Ad un certo punto poi l’Amedeo Jr., appena trentenne, si prese il tetano cadendo da cavallo durante una caccia al cinghiale, così tolse l’incomodo morendo.
A quel punto la Bona si ritrovò di nuovo reggente, questa volta del nipote che, con enorme fantasia, si chiamava Amedeo pure lui. Il problema però era che suo figlio questo nipote glielo aveva dato sposando un’altra donna di nome Bona e entrambe ambivano al posto di reggente.
La corte si divise in due, con una parte che sosteneva che la Bona vecchia fa buon brodo e l’altra parte che diceva che la Bona giovane era più bbbona… alla fine dovette intervenire pure il re di Francia per mettere pace e scelse la galli… ehm… la Bona di Borbone.
La Bona di Berry a quel punto, scornata, se ne tornò in patria e si risposò, senza mai più rivolgere un pensiero all’Amedeo Jr. Jr. e ai suoi due fratelli, che tanto con il nuovo marito di figli ne fece altri setti, giusto per tenersi impegnata.
La reggenza della Bona vecchia però non durò ancora a lungo perché poco dopo cominciarono a circolare voci secondo cui il presunto tetano dell’Amedeo Jr. assomigliava più ad un avvelenamento. Il suo medico e il suo farmacista vennero a quel punto interrogati usando il persuasivo metodo della tortura e, guarda caso, confessarono che in fondo la Bona non era proprio estranea a questa faccenda e così le tolsero la reggenza e la mandarono in pensione. Secondo noi se la era pure guadagnata perché tra una cosa e l’altra aveva retto il governo per trent’anni!

L’artista in esilio
Ci furono molti altri che in un modo o in un altro nel corso dei secoli soggiornarono a Chillon o contribuirono a rendere questo posto ancora più famoso, ma per oggi ci limiteremo a concludere ricordando Gustave Courbet.
Il Gustavo, per chi non lo sapesse, era un pittore francese e, come molti altri artisti la sua famiglia voleva che facesse l’avvocato mentre lui, fregandosene altamente delle aspettative genitoriali, disse di voler andare a Parigi per iscriversi alla facoltà di diritto e poi, invece di andare a lezione, cominciò a frequentare altri pittori e intellettuali del tempo.

Come pittore era bravo e così venne presto notato e la sua carriera non faticò a ingranare, ma il Gustavo aveva delle idee un po’ tutte sue e ogni tanto se ne usciva con un quadro per il quale tutti gli urlavano contro.
Il problema di base è che lui si definiva un pittore “realista” e seguendo questa sua idea gli scappavano dipinte scene che erano un po’ troppo reali per il palato del tempo, a volte perché le figure ritratte erano “brutte”, come nel caso de “Il funerale di Ornans” (che è un po’ come se noi vedessimo un film con solo attori brutti), altre volte perché gli atti dipinti erano immorali, come nel caso delle due donne in atteggiamento lesbico ne “Le dormienti”. Giusto per non farsi mancare nulla gli prese pure il ghiribizzo di dipingere una donna dalle ginocchia al collo, nuda e a gambe aperte e intitolarlo “l’origine del mondo”… la critica non apprezzò ma pare che il suo committente invece lo adorasse, come anche i successivi proprietari che però lo tennero sempre ben nascosto, per goderselo in privato finché non fu finalmente comprato dal Museo d’Orsay nel 1995.
Quello che però portò il Gustavo in svizzera non furono gli scandali riguardanti i suoi quadri ma la sua decisa presa di posizione in favore della comune di Parigi di cui fece parte come assessore all’istruzione pubblica. Fu in quel periodo che caldeggiò e ottenne l’abbattimento della colonna di Place Vendome, quella che aveva fatto erigere Napoleone con i cannoni presi ai nemici.


Gustavo pensava che tale monumento fosse “privo di ogni valore artistico e tendente a perpetuare, con il suo significato, le idee di guerra e di conquista respinte dal sentimento di una nazione repubblicana” ma dopo la rapida fine della comune fu arrestato per essersi reso complice di quello scempio.
Se la cavò con sei mesi di reclusione e una multa stratosferica (ma pagabile a rate) di 323.091 franchi e 68 centesimi che sarebbero stati spesi per la ricostruzione della colonna.
Leggermente timoroso che i suoi compatrioti cambiassero idea e lo sbattessero di nuovo in galera, il Gustavo fece su baracca e burattini e si trasferì rapidamente in Svizzera dove si divertì a dipingere ripetutamente il castello di Chillon tra un bicchiere e l’altro. Bevi e dipingi oggi, bevi e dipingi domani, ci lasciò le piume a causa della cirrosi epatica e a noi rimasero i suoi quadri del castello.

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Ma che meraviglia questo castello! E’ davvero uno splendore, poi per me è ancora più affascinante visto che è legato a Lord Byron, uno degli scrittori inglesi che amo di più!
C’è tutto un itinerario in questa zona per ripercorrere le orme di Byron e Shelley ma noi purtroppo non siamo riusciti a farlo e ce lo siamo messi da parte per un’altra volta!