Proprio come nel film di Hayao Miyazaki
Dalla terra a Miyazaki
Da qualche parte, all’inizio degli anni ’80, un uomo vide un’immagine che lo colpì particolarmente.
Non sappiamo se fosse una cartolina, una foto o chissà che altro, ma quell’immagine rimase in testa a quell’uomo che, su quella sola base, vi costruì una storia.
Non era una storia complessa ma aveva una trama semplice e facile da capire per tutti, anche per i bambini.
Quella storia diventò poi il film ‘Laputa – Castello nel cielo’, e l’uomo era il regista Hayao Miyazaki, mentre l’immagine era quella di un piccolo borgo del Lazio, Civita di Bagnoregio.
Non sappiamo se questa storia sia vera perché di fonti affidabili non ne abbiamo trovate, ma ci piace credere che lo sia.
In questo film ci sono delle particolarità che rendono i paralleli tra l’immaginaria città di Laputa e Civita quasi inevitabili e stupisce pensare che qualcuno abbia potuto creare qualcosa di così simile al vero, senza averlo mai realmente visitato.
La prima cosa che accomuna il film e il paesino è che entrambi siano ormai quasi disabitati, segnati dall’ineluttabile fato che li destina al non essere, simboli di un’era passata che non è più possibile rinnovare nonostante la tecnologia.


Per un momento, appena si entra a Civita, questo senso d’ineluttabile colpisce i visitatori rendendoli consapevoli della caducità di tutte le cose e questo, in genere, fa nascere un lancinante senso di tristezza. E’ solo un momento però, perché i numerosi fiori che spuntano ovunque e i gatti che si aggirano nelle strade deserte di Civita, come le volpi-scoiattolo che popolano i giardini di Laputa, ci ricordano immediatamente che nonostante la fine sia inevitabile, la vita risorge sempre e ovunque e questo, sebbene non ci liberi dall’opprimente senso di tristezza, aiuta a farcelo accettare.
La seconda cosa che funge da filo conduttore tra Civita e Laputa è la vertigine. Non c’è bisogno di avere paura delle altezze per provare uno strano senso di disagio, prima salendo lungo lo stretto e altissimo ponte che porta al paese e poi nel sapersi abbarbicati sulla cima di una roccia destinata prima o poi a franare e, allo stesso modo, fin dall’inizio, nel film di Miyazaki la caduta sembra inevitabile.
L’ultima cosa, quella a nostro parere più importante, è il silenzio. Nel film ci sono punti assolutamente senza musica di sottofondo, vuoti, e allo stesso modo nelle strade di Civita sembra quasi che i suoni se li mangi il vento, o forse lo spazio vuoto che circonda il borgo, lasciando solo i piccoli rumori della natura, come il cinguettio degli uccellini o il rotolare di una singola foglia secca sul selciato.
C’è qualcosa di magico a Civita, che rapisce e che fa riflettere, e se prima di vistarla non si comprende bene perché venga chiamata ‘città che muore’, dopo esserci stati non si può che approvare il soprannome inventato da uno dei suoi cittadini più illustri, Bonaventura Tecchi.


Potremmo scrivere molto di più su Civita di Bagnoregio e sui personaggi che nei secoli l’hanno abitata, ma tutto quel silenzio ci ha quasi fatto perdere la parola, quindi vi lasceremo con solo un’altra piccola nota: Laputa, alla fine del film, ormai spogliata di tutte le sue vestigia umane, continua a vivere nel cielo come un enorme albero verde, popolato da fiori e animali.
Non possiamo che augurare a Civita lo stesso immortale destino.
Per approfondire:
Informazioni pratiche:
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Un posto magico, uno dei miei preferiti della mia regione! E’ sempre bello leggere di Civita di Bagnoregio!