Il Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci
Che cos’è la Bellezza?
C’è un concetto che ci è caro: non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace.
Sembra semplice detta così ma poi, a ben guardare, va sempre a finire che se ti piace quel ragazzo dal naso grande o quella ragazza dal seno piccolo, qualcuno ti verrà a dire che è brutto/a e per quanto ti sforzi di spiegare che ‘a te piace’, sembra che le tue parole non bastino a convincere gli altri.
In un’epoca di modelli stereotipati, dove mille persone si fanno rifare lo stesso identico naso/bocca/viso, il concetto di bellezza sembra continuare a sfuggirci e diventa sempre più labile e così abbiamo deciso di inseguirlo, di dargli la caccia.
La nostra preda è stata vista poco tempo fa su una strada dritta. La seguiamo.
La strada ci porta su un’isola greca, solo un ammasso di terra dove oggi vivono tremilacinquecento persone, più o meno, ma dove un tempo nacque una dea. Non una dea qualunque ma quella della bellezza e dell’amore.

L’isola è Citèra e noi oggi non ci troviamo lì, però ci sono stati in tanti, a vedere il posto che ha dato i natali ad Afrodite, e in tanti hanno cantato e scritto di questo posto e alcuni non c’erano nemmeno mai stati.
La nostra strada arriva a un bivio. Giriamo a destra.


Il libro di un sogno nel sogno
Polifilo, colui che ama la moltitudine, e Polia, la moltitudine, furono portati a Citèra da un’imbarcazione il cui nocchiero era Cupido. Non nella realtà, perché nessuno dei due è mai esistito, ma in un sogno che avveniva all’interno di un sogno. Non ce lo siamo inventati noi perché questa è la trama dell’Hypnerotomachia Poliphili, un libro che fu stampato a Venezia nel 1499.
Ci sono tre strade. Quale dovremmo prendere? Scegliamo quella centrale.

Il libro che esiste
Un sogno in un sogno per uno che ama la moltitudine vi sembra un tema strano per un libro così antico? E allora che dire del misterioso manoscritto di Voynich che gli è precedente di alcuni anni? Anche questo tomo esiste davvero, anche se non è mai stato stampato e l’unica copia si trova nella Beinecke Rare Book and Manuscript Library, presso l’università di Yale negli Stati Uniti.
Nessuno sa chi abbia scritto queste pagine e nessuno sa che cosa ci sia scritto perché il codice nasconde ancora oggi la sua chiave di lettura, se ce n’è una. Lo aveva comprato Rodolfo II per la sua collezione di meraviglie ma da dove venisse, non si sapeva nemmeno allora. Sappiamo però, dalle illustrazioni, che è suddiviso in tante sezioni: botanica, astrologica, biologica, farmacologica… ma nessuno ha mai visto le piante o le costellazioni illustrate. Quindi cos’è questo testo? E’ un falso che alcuni abili truffatori come Edward Kelley e John Dee avevano messo insieme ad arte per rivenderlo all’imperatore Rodolfo per un prezzo altissimo? O è un vero testo di alchimia scritto in una lingua artificiale come l’idioma analitico di John Wilkins?
Destra o sinistra? Dove andremo? Scegliamo sinistra.
Il libro che non esiste
John Wilkins era un prelato anglicano che si dilettava nello scrivere opere leggere e spesso fantasiose ma, nel 1668, espose l’idea di creare un linguaggio universale che potesse aiutare la comunicazione tra studiosi di varie lingue. Da allora l’idea è rinata e poi tristemente rimorta tantissime volte ma nessuno ne è venuto a capo, nemmeno gli ottimisti dell’esperanto.
Jorge Luis Borges, uno scrittore argentino, pubblicò nel 1942 un breve saggio sul linguaggio analitico di John Wilkins, nel quale concluse che non era possibile realizzare l’idea di Wilkins perché non è possibile classificare l’universo se non in modo arbitrario e pieno di congetture. Per rendere chiaro il suo punto citò un’enciclopedia di tassonomia cinese, “L’emporio celeste della conoscenza benevola”, dove gli animali sono suddivisi secondo categorie molto strane quali ‘quelli appartenenti all’imperatore’, ‘quelli imbalsamati’, gli ‘innumerevoli’ e addirittura gli ‘eccetera’.
Questa enciclopedia fu tradotta dal cinese da Franz Kuhn… ma questa è una menzogna perché quel libro non è mai esistito e in realtà Borges lo inventò per scrivere il suo saggio.
Vicolo cieco. Dobbiamo tornare indietro.


Il libri che non puoi comprendere (o forse puoi)
Torniamo al codice Voynich che forse è un falso e forse non vuole dire nulla ma fior fiore di studiosi se lo girano e se lo litigano da secoli.
La domanda è: ci sono altri libri di questo tipo? Incomprensibili eppure ammirati da tanti? La risposta la si trova nella mente di un artista, Luigi Serafini, che tra il 1976 e il 1978, con la stessa pazienza di un monaco minatore, illustrò le 360 pagine del Codex Seraphinianus in scrittura asemica.
La scrittura asemica è surreale: puoi interpretarla, puoi leggerci ciò che vuoi e ciò che credi di capire. Non è univoca. Non è universale. Però è bella. La guardi e non capisci, o forse capisci. Ed è bella.
Non è bello ciò che è bello… giusto?
Siamo arrivati e alla fine del labirinto, al suo cuore. Ci attende una piramide. Ci attrae. Sembra promettere la conoscenza. Tutto lo scibile umano in unico posto. Entriamo.
Nella piramide c’è un altro labirinto. Siamo stanchi ma proseguiamo.
Tutto sembra uguale all’inizio. La strada è dritta davanti a noi.
Il Codex Seraphinianus era inizialmente composto di due volumi la cui prima stampa è diventata in fretta introvabile perché sia il contenuto sia la preziosa veste grafica l’hanno reso un oggetto di culto per molti collezionisti. Questo codice, poi ristampato diverse volte, ha reso il suo creatore, Luigi Serafini, un artista molto amato nel mondo e tra i suoi ‘fans’ possiamo annoverare anche Tim Burton.
Ora giriamo a destra.


Il libro che tutti vorrebbero
Jorge Luis Borges scrisse molti libri e fu, ed è ancora, un autore grandemente apprezzato. Il tema proposto nel saggio sul linguaggio analitico di John Wilkins, cioè la possibilità di inserire un elemento fittizio nella discussione facendolo credere vero, come nel caso de “L’emporio celeste della conoscenza benevola”, è diventato il suo elemento distintivo, tanto che oggi l’aggettivo ‘borgesiano’ si riferisce appunto a scritti fantastici dove una falsità viene spacciata per vera.
Nel suo libro “La biblioteca di Babele” esiste un libro contenente LA VERITA’. Questo libro è di 410 pagine ed è scritto con 80 simboli. Il problema è che si trova in una biblioteca infinita e labirintica, in cui si trovano solo libri di 410 pagine scritti con tutte le combinazioni possibili degli stessi 80 simboli. In alcuni casi certi libri non avranno un vero significato e non saranno decodificabili, in altri casi saranno inutili e potrebbe esserci anche un libro che, invece della Verità, contiene la Menzogna. Gli uomini si affannano per comprendere quegli 80 simboli e cercare la verità.
Tra il 1975 e il 1985 Borges diresse anche una collana libraria di 33 libri, chiamata appunto “la biblioteca di Babele”. I libri editi in questa particolare collana sono oggi oggetto di collezionismo.
Bene così. Sinistra. Avanti. Il manoscritto di Voynich. Ops… vicolo cieco. Indietro. Destra.


Il libro-giardino
Non conosciamo l’autore dell’Hypnerotomachia Poliphili ma sappiamo che lo stampò a Venezia Aldo Manuzio, che è considerato uno dei primi editori in senso moderno e introdusse nell’editoria alcune innovazioni ancora usate al giorno d’oggi.
L’edizione storica dell’Hypnerotomachia Poliphili, con le sue 169 illustrazioni xilografiche, è a tutt’oggi considerata un capolavoro, così non deve sorprendere se un giovane architetto di Torino, Davide Dutto, s’intestardì, sul finire dello scorso millennio, a ricostruire con i primi software a disposizione al tempo, l’isola di Citèra dove il libro è ambientato.
Le sue ricostruzioni furono poi pubblicate in un libro-giardino, dove le alte siepi di bosso formano labirinti intricati, e forse impenetrabili, come quelli di un sogno.
Siamo arrivati. Vediamo la fine. Che cosa troveremo?
C’è un grosso felino nero. Che sia una pantera? Il suo ringhio è possente. E’ un giaguaro. Forse è il custode della verità.
La verità
La verità è una calda sera d’estate. Le ragazze in abiti leggeri e colorati passeggiano sul Lungo Parma, la strada che costeggia il fiume che taglia in due la città. I ragazzi si danno convegno al bar lì vicino e mio padre parcheggia la sua GT rossa sul marciapiede, bene attento a non rigare la carrozzeria perché lo spazio è poco e bisogna tenersi vicini al muro. Ha parcheggiato la GT dietro a una Jaguar nera, un’altra delle auto abituali, su quel pezzo di marciapiede.
Quella stessa Jaguar oggi non parcheggia più su quel marciapiede ma risiede in una stanza ben illuminata che affaccia su un giardino e da il benvenuto ai visitatori della collezione del suo proprietario che, sebbene ormai non più tra noi, resta aperta ai visitatori che indagano futilmente il significato di bellezza.


La collezione contiene di tutto: quadri, sculture, libri, curiosità. Tutto è stato raccolto secondo il gusto del collezionista, esposto secondo il suo capriccio senza un intento didascalico o museale ma seguendo forse, a volte, un guizzo di piacere. O una vena di malizia perché il viso di marmo di Napoleone si trova in mezzo tra i busti della prima e della seconda moglie, mentre una danzatrice dei primi anni del novecento solleva le mani in avanti e sembra volersi proteggere da una tigre…
Le opere sono di artisti diversi, di tante epoche, tutti creatori superbi dell’arte del loro tempo, ma sotto la superficie s’intravede la scelta, il gusto del collezionista che ha raccolto questi capolavori in base alla sua estetica, alla sua idea di bellezza.
Molti dei volti dipinti e scolpiti sono caratterizzati da tratti strani, irregolari, lontani dalla bellezza classica. Altri sono ammantati da un’aura di fascino e di carisma che forse proviene più dall’autore che dal soggetto, eppure sono tutti qui, racchiusi in una costruzione creata appositamente per mostrarli, per lasciare che siano visti e ammirati.
C’è un ordine preciso in questo luogo che è più intuitivo che schematico. E’ un luogo onirico che vive ai confini della razionalità ma che è famigliare a chiunque.

Opera dopo opera concludiamo il nostro giro e ci ritroviamo a fare i conti con la realtà. Abbiamo trovato LA VERITA’?
No, ovviamente non l’abbiamo trovata ma siamo stati, a nostro parere, più saggi di coloro che hanno speso le loro vite arrancando per la labirintica biblioteca di babele e ora, poiché siamo fuggiti da questo sogno nel sogno e da questa collezione nel labirinto (o viceversa), ci sentiamo diversi.


Il labirinto, con le sue infinite scelte e svolte, sembra averci alterato la mente e per un po’ di tempo ci rimane la straniante sensazione che dietro a ogni angolo si possa nascondere l’incredibile e, anche se troviamo un altro corridoio, non smettiamo insensatamente di sperare.
Avremmo potuto raccontarvi il parco culturale del Labirinto della Masone, che si trova a Fontanellato in provincia di Parma, in maniera diversa. Sì, avremmo potuto ma ci sembrava più divertente farlo così e, ora che ne siamo usciti, possiamo darvi la chiave in modo che voi possiate entrarvi, se volete.
Ed ecco la chiave.
La chiave
Franco Maria Ricci, ideatore di questo posto, era un ragazzo riccioluto che possedeva non una pantera ma una Jaguar nera. La parcheggiava sul Lungo Parma e andava al bar lì davanti.
Era nato a Parma nel 1937 e qui si era innamorato dei caratteri tipografici di Giambattista Bodoni di cui aveva voluto far ristampare il “Manuale tipografico”. Il libro aveva ottenuto un tale successo che lui decise, nel 1965, di aprire una sua casa editrice.
Nel 1975 pubblicò la collana “la biblioteca di Babele”, diretta da Jorge Luis Borges cui era caro il tema dei labirinti, tanto da volerne spesso discutere con l’editore.
Nel 1981 Franco Maria Ricci fu il primo a pubblicare il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini che rimane un fantastico esempio di enciclopedia di un mondo parallelo e surreale.
Nel 2000 Davide Dutto propose a Franco Maria Ricci di pubblicare il libro “Il giardino di Polifilo” con le labirintiche ricostruzioni grafiche dell’isola di Citèra.


L’idea di un labirinto aveva ormai messo radici nella mente di Franco Maria Ricci ma si concretizzò solo nei primi anni dopo il 2000 e fu proprio Dutto a ideare la pianta di questo intricato enigma, mentre le costruzioni furono affidate da Pier Carlo Bontempi che propose costruzioni ispirate al mondo classico ma realizzate nei mattoni rossi tipici della zona in modo che il tutto si fondesse meglio con il territorio circostante.
E così il 29 maggio del 2015 aprì i battenti il Labirinto della Masone, dove potrete aggirarvi tra le alte siepi di bambù ma anche visitare la straordinaria collezione d’arte di Franco Maria Ricci che comprende opere che spaziano da Adolfo Wildt a Bernini, passando per Ligabue, Hayez e molti altri.
E a capeggiare su tutto il resto, come una guardiana immortale del gusto del suo proprietario, c’è lei: la Jaguar nera che, come un grande felino, controlla questa giungla labirintica fatta di carta, pietra e bellezza.
Informazioni pratiche:
L’angolo dello shopping:
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Mi hai confusa tantissimo! Però penso fosse proprio il tuo intento. Non ho mai visitato un labirinto.. sono un po’ claustrofobica e avrei paura di impanicarmi!
In realtà è difficile perdersi davvero nel Labirinto della Masone perchè ci sono spesso dei cartelli con la mappa… ma per precauzione ti fanno indossare un braccialetto con il numero di telefono da chiamare se ti impanichi!
Ci sono stata nel 2021 e lo ricordo con tanto affetto! Ci ritornerò, pensa, il prossimo aprile con una delle mie classi in gita scolastica! Non vedo l’ora di tornare a perdermi nel labirinto, sarà divertentissimo insieme a loro!
Ammetto che noi, sebbene sia davvero vicino a casa, non lo avevamo mai visto perchè sembrava che non fosse mai il momento giusto.
Il labirinto in sè però non lo abbiamo apprezzato quanto la collezione che è davvero strepitosa!
Favolosa!!! Sei stata fantastica nella scrittura che mi ha condotto nel labirinto in senso reale: vicoli ciechi, nessi che mi sfuggivano, svolte improvvise fino alla rivelazione della chiave. Complimenti davvero
WOW! Credo che questo sia il commento più bello che abbiamo mai ricevuto! Grazie Mille!😍
Con questo articolo mi hai davvero messo in difficoltà. Libro non libro, scrittura non scrittura, codice non codice, sogno nel sogno. Fortuna ha voluto che almeno questo benedetto labirinto prendesse forma, o non forma??
Potrebbe essere che ci fosse poco da dire sul labirinto in sè… non potevo mica scrivere un intero articolo basato sul bamboo, no?
(ehm… in realtà avrei potuto ma ho avuto pietà di voi!😈)