Ritratto "Li -la donna biomeccanica" ispirato a Li Tobler all'H.R. Giger Museum a Gruyeres in Svizzera. Foto sul blog di viaggi Nerd in Spalla: viaggiatori poco seri.

H.R. Giger, l’uomo che inventò Alien

Astronavi sul medioevo

C’è un posto che desideravamo visitare da anni ma, sebbene non sia poi molto lontano dall’Italia, ogni volta che progettavamo di andarci, qualcosa ce lo impediva.

Adesso finalmente siamo riusciti a visitare questo posto e siamo felicissimi di potervi parlare del museo di Hans Ruedi Giger, l’artista che ha creato nientemeno che lo xenomorfo, meglio conosciuto semplicemente come ALIEN!

Questo museo è un po’ diverso da altri che potreste visitare perché è stato voluto e creato dall’artista, mentre era ancora in vita, come un posto dove esporre i suoi lavori quando non erano in prestito a varie mostre in giro per il mondo. In pratica doveva essere un magazzino auto celebrativo!

Il museo si trova a Gruyeres, un paesino che, oltre a essere famoso ovunque perché è il luogo di origine del formaggio gruviera, è considerato uno dei borghi più belli della Svizzera.

Insegna all’ingresso del museo
Costoloni a forma di ossa che salgono al soffitto nel bar del museo

Il Giger visitò il posto per la prima volta in occasione di una sua esposizione personale e se ne innamorò immediatamente, tanto che subito dopo acquistò il castello di St. Germain con l’idea di ristrutturarlo e renderlo un museo.

Il Giger era uno che partiva sempre un po’ in quinta quando doveva fare qualcosa e, nella sua prima idea, voleva che il vecchio castello sembrasse, all’interno, una specie astronave aliena o forse un grembo materno biomeccanico e surreale, visto che come artista era un filo fissato con il sesso e la riproduzione.

I soffitti di tutti i locali sarebbero dovuti essere come quelli visibili nel bar del museo, che si trova dall’altra parte della strada, con enormi spine dorsali che risalgono verso il soffitto in una suggestione gotica – horror.

Purtroppo, per quanto il Giger fosse geniale come artista, mi sa che in fatto di costruzioni non ci capisse un’acca, perché non aveva tenuto conto che i vecchi castelli hanno i piani di legno e che l’amalgama che lui voleva utilizzare era troppo pesante e avrebbe fatto crollare tutto così, alla fine, si dovette accontentare di decorare solo i pavimenti, ricoprendoli con lastre di gomma ottenute da un suo calco originale che sembra una mezza via tra un circuito elettrico e un non-lo-so eclettico.

Ritratto di Giger nel suo studio

Sesso biomeccanico e i suoi derivati

Ora però fermiamoci un momento a domandarci chi fosse quest’artista ritenuto visionario perché, in effetti, era davvero un bel tipo e non certamente nel senso di “bello” perché… ehm… de gustibus… però la Kry pensa onestamente che come uomo fosse un cesso e il Teo non si esprime in fatto di bellezza maschile.

Questo Giger era uno che aveva fatto tutti gli studi giusti per diventare artista e, nello stesso tempo, aveva sviluppato una passione per lo strano e il morboso che lui attribuiva alla presenza di un teschio esposto presso la farmacia di famiglia e che invece noi troviamo sia un po’ una roba che piace a tutti gli adolescenti, quindi non capiamo perché farne tanto clamore. Con il passare del tempo, però, il Giger si fece venire una nuova ossessione, anche quella molto comprensibile: il sesso.

Visto che aveva studiato design industriale ed era quindi più che esperto in costruzioni e meccanismi vari, cominciò a idealizzare un futuro in cui il biomeccanico fosse la norma e, con enorme fluidità di pensiero, sostituì il concetto d’ingranaggio, o di qualunque altro tipo di ‘incastro’, con la penetrazione… Sì, avete capito bene. Avete presente quando i bambini ridacchiano davanti a una spina maschio o femmina? Ecco, il concetto è uguale ma con molto più porno.

Una delle opere esposte al museo che lascia poco all’immaginazione
“Birth Machine” una delle opere di Giger con ‘feti meccanici’

Ovviamente, quando si pensa costantemente al sesso, a un certo punto capita che un pensiero ramingo si soffermi sul concetto di procreazione e così il Giger, in un periodo in cui la clonazione, in particolare quella umana, era argomento diffuso di dibattito, cominciò a inserire nella sua arte immagini d’inquietanti feti biomeccanici.

La musa depressa

Il buon Giger era quello che oggi definiremmo un darkettone e la sua indole di certo non migliorò quando s’innamorò della bella attrice teatrale Li Tobler. Lei, anche se inizialmente sembrava una persona molto vitale, si rivelò essere soggetta a pesanti attacchi di depressione che la spingevano a dire cose del tipo: «Voglio che la mia vita sia breve e intensa».

Al tempo entrambi erano giovani e squattrinati, quindi non è che potessero vivere in appartamenti di lusso ma si accontentavano di case fatiscenti e abbandonate che di certo, sebbene facessero un gran bene all’aura di artista Dark del Giger, non facevano nulla per dare un po’ di sollievo alla depressione di Li.

I due si erano pure sposati a un certo punto ma la loro relazione rimase sempre aperta, con entrambi che intrattenevano relazioni più o meno durature con altre persone.

Li era la musa indiscussa di Giger, che la dipinse in due grandi opere intitolate appunto “Li I” e “Li II” ma la ragazza apprezzò pochissimo il gesto e anzi, appena vide il dipinto “Li I” prese un coltello e vi tagliò sopra una grossa X. Giger, che pensava invece di aver fatto un buon lavoro (è ancora oggi una delle sue opere più famose), tenne ugualmente il ritratto. Dopo qualche tempo Bob Guccione, fondatore della rivista “Penthouse”, vide l’opera e ne rimase folgorato, tanto da chiedere a Giger di ripararla per poterla usare come copertina di una nuova rivista che era in pubblicazione da poco, OMNI, interamente dedicata alla fantascienza. Il Giger si mise lì e, con pazienza, riparò il ritratto reincollandolo tipo puzzle. Da allora il volto di Li è rimasto l’icona della donna biomeccanica, che a lei piacesse o no.

A quel punto Li, sarà stata la depressione, un pesante uso di droghe o chissà che altro, decise di spararsi in testa per rendere davvero la sua vita breve (ma intensa) come aveva sempre desiderato, lasciando come unico messaggio un solo foglio con scritto “Adieu”.

Il Giger che nonostante le molte storie con altre era sempre rimasto innamorato della bella Li, non la prese benissimo e, dopo di allora, diversi amici dell’artista notarono che alcuni suoi lavori presentavano dei fori. Quando fecero notare al Giger questo fatto, lui rispose laconico: «E’ lì che la mia ragazza si è fatta esplodere il cervello».

“Li II”, il secondo ritratto di Li Toble (il primo è la copertina dell’articolo)
Un Alien che assale i visitatori dal soffitto del museo

L’arte di Giger divenne ancora più cupa e lui fu ritenuto dai benpensanti una specie di satanista pazzo, soprattutto perché, per commemorare la morte di Li, fu organizzato da lui e da altri artisti un evento noto come “La seconda celebrazione dei quattro”. In questo rituale/spettacolo/celebrazione furono evocati i quattro elementi cosa che, al tempo, sembrò quantomeno sospetta, tanto che in molti pensarono che quello spostato del Giger non solo fosse un satanista, ma si fosse pure tenuto in casa lo scheletro di Li, come soprammobile.

Da Dune a Alien

A questo punto della sua vita però il Giger era ormai un artista affermato e così fu contattato da Alejandro Jodorowsky, un regista statunitense cui era venuta una grande idea: girare un film sul romanzo Dune di Frank Herbert. Il progetto era monumentale e prevedeva come attori persone del calibro di Salvador Dalì, Orson Welles e Mick Jagger, mentre per le musiche avrebbe voluto i Pink Floyd e per scenografie e costumi, oltre a Giger, sarebbero stati impiegati Moebius e Chris Foss. Il film finì in una bolla di sapone ma se siete curiosi, potete recuperare il documentario “Jodorowsky’s Dune” che ne parla.

Fu questo primo ingaggio che diede modo al Giger di entrare nel mondo del cinema che alla fine lo renderà immortale grazie alla creazione dello xenomorfo, la creatura del film “Alien” di Ridley Scott.

L’alieno dei film in realtà è tratto da un’opera precedente di Giger, il Necronom IV, che aveva una testa lunga e inequivocabilmente fallica e quest’aspetto è sottolineato più volte nell’allestimento dell’esposizione di questo museo.

Se poi si pensa a ciò che Ridley Scott voleva realizzare, cioè una creatura creata artificialmente come arma biologica e con un ciclo vitale e un tipo di riproduzione assolutamente folle, è ovvio che il Giger ci sia andato a nozze, perché quell’essere incarnava tutto ciò che lui stava già cercando di comunicare nelle sue opere.

Sebbene nei film successivi l’alieno abbia avuto un restyling che non fu opera di Giger, è stato comunque bellissimo poter vedere sul grande schermo la creazione dell’artista per la nave aliena del film “Prometheus”, di cui si possono vedere i disegni nel museo.

L’Alien di H.R. Giger
Il film “Species” non ebbe mai lo stesso successo di “Alien”

Film, bar e altre storie

Tra le altre cose esposte nel museo ci sono molti pezzi dell’altro film di cui il Giger curò la concept art, “Species”, che però non raggiunse mai il successo planetario di Alien.

Ci sono anche in esposizione le sedie chiamate Harkonnen, quelle che sarebbero state usate nel film Dune di Jodorowsky, se mai fosse stato realizzato. Se queste sedie vi piacciono e sentite l’incredibile bisogno di provarle per sentirvi un po’ barone Harkonnen pure voi, sappiate che proprio in faccia all’ingresso del museo c’è anche il bar Giger, dove copie di queste sedie sono presenti sia al bancone sia in diversi tavoli del locale!

Tra parentesi poi, questo non è il solo bar aperto da Giger sullo stesso tema, perché ne esiste a tutt’oggi un altro a Coira, la città natale dell’artista, e altri due sono esistiti ma ora hanno chiuso i battenti. Quello di New York cessò l’attività in maniera spontanea ma si dice che invece quello di Tokyo abbia fatto un fine peggiore.

Lo stesso Giger, parlando di questo bar disse che un suo amico, che lo aveva visitato alcuni anni dopo l’apertura, aveva notato che era frequentato da persone che sembravano pronte a installare un tavolo da roulette nell’atrio. Era, in effetti, cosa nota che il posto fosse frequentato prevalentemente da yakuza ma, anche così, rimase comunque aperto per un po’, finché al suo interno non fu commesso un omicidio, dopo di che il bar chiuse definitivamente. Un po’ ci spiace ma possiamo consolarci con questo bar e alimentare la speranza di visitare presto anche quello di Coira!

Interno del bar con le sedie “Harkonnen” create per il film di Dune.

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4 commenti

  1. Che il tipo fosse un po’ ossessionato dal sesso lo si devince anche solo dal design di Alien (e tutto sommato anche i successivi restyling non si sono allontanati molto dal tema!). Ma il resto della sua arte non la conoscevo, e devo dire che si’, conferma in tutto la sua idea fissa! 😂 (bellissime foto!!)

    1. In effetti sì… il Giger era un filo monotematico ma resta uno dei miei artisti preferiti!

  2. Credo di essere passata dalle parti di Gruyère, ma conoscevo solo la fama di questa città per il formaggio e non per la vita e le disavventure del Giger. Che storia travagliata, e soprattutto che destino triste per la povera Li!
    Complimenti perché riuscite sempre a rendere accattivanti tutte le storie che raccontate!

    1. La visita al museo Giger era un sogno nel cassetto che avevamo da moltissimi anni e in effetti la realizzazione che a Gruyère ci fosse anche il formaggio per noi è arrivata dopo!😅

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